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12 Settembre 2022

Prescrizione dei crediti da lavoro e calcolo della decorrenza

La Cassazione – con sentenza n. 26246/2022 – ha fornito alcune importanti precisazioni in materia di prescrizione dei crediti retributivi.

La questione nasce dal ricorso intimato da due lavoratrici del settore alimentare che chiedevano la liquidazione delle differenze retributive loro spettanti per il lavoro straordinario notturno: la Corte d’appello di Brescia – nel respingere il ricorso, in quanto ormai eccedenti la prescrizione quinquennale – aveva ritenuto che sia la legge n. 92/2012 che il Dlgs n. 23/2015 non avessero intaccato la permanenza della “stabilità reale” del rapporto di lavoro: a parere dei giudici di merito, infatti, le richiamate riforme del lavoro non potevano ritenersi tali da porre il dipendente in una condizione psicologica di timore, tale da indurlo a non avanzare pretese retributive nel corso del rapporto (considerando, dunque, irrilevante l’attenuazione della tutela per un licenziamento fondato su ragioni quali giusta causa o giustificato motivo, oggettivi e sussistenti estranee alle suddette rivendicazioni retributive).

Di parere contrario la Cassazione, secondo la quale “non è dubbio che le modifiche dell’art. 18 della legge n. 300 del 1970 abbiano comportato il passaggio da un’automatica applicazione ad ogni ipotesi di illegittimità del licenziamento della tutela reintegratoria e risarcitoria in misura predeterminabile con certezza ad un’applicazione selettiva delle tutele, in esito alla scansione delle due diverse fasi di qualificazione della fattispecie (di accertamento di legittimità o illegittimità del licenziamento intimato e della sua natura) e di scelta della sanzione applicabile (reintegratoria e risarcitoria ovvero soltanto risarcitoria), con una sua diversa commisurazione (se in misura cd. “piena” o “forte”, ovvero “attenuata” o “debole”) assolutamente inedita“.

In tal senso, la Cassazione ha ribadito che la tutela reintegratoria rispetto alla tutela indennitaria ha un carattere recessivo: peraltro, la recente sentenza della Corte Costituzionale ha confermato l’adeguatezza dell’indennità risarcitoria “quale legittimo ed efficace rimedio a protezione del lavoratore nelle ipotesi di illegittimità del licenziamento previste dal legislatore“.

Pertanto, stante il fatto che l’attuale quadro normativo non assicura più “l’essenziale dato di stabilità del rapporto nella tutela reintegratoria esclusiva dell’art. 18 l. 300/1970“, la Corte di Cassazione ha ribadito che la prescrizione decorra, in corso di rapporto, esclusivamente quando la reintegrazione, non soltanto sia, ma appaia la sanzione “contro ogni illegittima risoluzione” nel corso dello svolgimento in fatto del rapporto stesso (quindi, nella formulazione dell’art. 18, prima dell’intervento della legge n. 92/2012.

Secondo la Suprema Corte, dunque, deve essere escluso “per la mancanza dei presupposti di predeterminazione certa delle fattispecie di risoluzione e soprattutto di una loro tutela adeguata, che il rapporto di lavoro a tempo indeterminato, così come modulato per effetto della legge n. 92 del 2012 e del decreto legislativo n. 23 del 2015, sia assistito da un regime di stabilità“.

In tal senso, “Il rapporto di lavoro a tempo indeterminato, così come modulato per effetto della legge n. 92 del 2012 e del decreto legislativo n. 23 del 2015, mancando dei presupposti di predeterminazione certa delle fattispecie di risoluzione e di una loro tutela adeguata, non è assistito da un regime di stabilità. Sicché, per tutti quei diritti che non siano prescritti al momento di entrata in vigore della legge n. 92 del 2012, il termine di prescrizione decorre, a norma del combinato disposto degli artt. 2948, n. 4 e 2935 c.c., dalla cessazione del rapporto di lavoro“.

Quanto all’immediata conseguenza applicativa della sentenza in commento, ormai ogni datore di lavoro (a prescindere dalla dimensione) è esposto a potenziali controversie per crediti del lavoratore sorti sin dal luglio 2007, senza poter eccepire la prescrizione: inoltre, la prescrizione dei crediti non decorrerà sino alla cessazione del rapporto di lavoro e maturerà, salvo particolari casi, solo decorsi cinque anni dall’estinzione.

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